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Cassazione, 4 febbraio 2020 n. 2549: banca responsabile se non comunica subito il pagamento in materia di protesto bancario

20 Febbraio 2020ufficiostampa

Gli obblighi che gravano su una banca impongono, in generale, di tenere una condotta orientata alla diligenza e alla correttezza, caratteristiche queste che dovrebbero informare tutti i rapporti contrattuali, ed in particolare quelli bancari, proprio in ragione della posizione di parte debole del rapporto assunta dai consumatori.

Questo vale, a maggior ragione, nel caso di mancato pagamento di una cambiale: la banca dovrebbe immediatamente attivarsi per intervenire sul meccanismo del protesto – che si trovi questo in fase embrionale o avanzata – nel caso in cui un cliente assolva all’obbligo di pagamento.

Più volte la Cassazione in passato si è pronunciata in materia, e, di recente, lo ha fatto anche con ordinanza del 4 febbraio 2020, n. 2549, accogliendo il ricorso attivato da un correntista contro un noto istituto di credito.

I fatti di causa a monte della questione

Tramite l’ordinanza oggetto dell’odierna trattazione la Cassazione ha inteso chiarire come ogni banca sia tenuta a restituire la provvista qualora, come sembra sia accaduto nel caso in esame, ad essa possa essere attribuita responsabilità per condotta omissiva.

In particolare, sebbene il correntista abbia provveduto al pagamento del titolo nel giorno successivo alla sua scadenza – esattamente come consentito dall’art. 43 della legge cambiaria – l’istituto di credito è rimasto inerte, non comunicando al notaio il venir meno del presupposto utile per elevare il protesto, ossia l’avvenuto, sia pur nell’ultimo momento utile, pagamento della cambiale.

Sulla natura della responsabilità riconducibile alla banca

Premesso che, come è facile intuire, questa comunicazione avrebbe bloccato il protesto, evitando così danni oggettivi e di immagine al correntista, c’è da chiarire come la responsabilità gravante sull’istituto di credito sia stata considerata dal giudice chiamato a pronunciarsi di natura contrattuale in quanto riconducibile, appunto, al contratto di mandato che ne è a monte.

A questo si aggiunge la violazione di quanto comunque sancito dalla clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex art. 1175 c.c., che impone, a carico di una parte, il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte, e questo in ogni rapporto contrattuale, a maggior ragione di natura bancaria.

Se è vero, in conclusione, che i diritti dei consumatori sono sempre più violentati dalle banche, è altrettanto vero che la legge fa’ il suo corso e, ultimamente, lo fa in maniera sempre più chiara e nitida, senza riserve e senza lasciar adito ad ambigue interpretazioni.

Questa, è in fondo, la giustizia.

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